La stereoscopia

“Prima che ci partiamo dal ragionamento del veder l’immagine pendente nell’aria, insegnaremo come si possa fare che veggiamo le immagini pendenti nell’aria di qualsivoglia cosa; il che sarà cosa mirabile più di tutte le meravigliose, principalmente senza specchio e senza l’ogetto visibile […] Ma diciamolo… come si veda un’immagine nell’aria in mezo una camera, che non si veda lo specchio, né l’ogetto della cosa visibile, e caminando intorno vedrai l’imagine da tutte le parti.”
Giovan Battista della Porta, 1589

Indice:




1. introduzione
a. cos’è la stereoscopia
b. cenni di fisiologia della visione
c. la stereopsi

2. storia della stereoscopia
a. curiosità: pubblicazioni e occhiali 3d

3. le tecniche:
a. anaglifia
b. effetto Pulfrich

4. applicazioni:
a. come realizzare fotografie in 3d
b. strumenti per osservare immagini 3d
-osservazione per mezzo di uno stereoscopio semplice
-osservazione per mezzo di uno stereoscopio a specchi

5. ricerca progettuale
a. riedizione dello stereoscopio semplice
b. schede tecniche
d. possibili applicazioni
applicazioni didattiche

1. Introduzione

1.a. Cos’è la stereoscopia

La stereoscopia è una tecnica di visualizzazione che porta l’osservatore a percepire immagini bidimensionali come se fossero oggetti reali, o quantomeno con un’inspiegabile profondità.
Il principio a priori di questa tecnica è relativamente semplice, esso utilizza infatti una coppia di immagini con una minima diversità nell’inquadramento
Esso riproduce quindi artificialmente, e sinteticamente, i meccanismi appartenenti alla visione binoculare.
Il concetto di stereoscopia ha radici antiche. Fu Euclide (200 a.C.) a comprendere i principi della visione tridimensionali (e la cosa non dovrebbe stupire, visto e considerato che i principi della prospettiva accidentale poggiano ovviamente sulla visione stereoscopica), ciascuno dei nostri occhi percepisce una “realtà” relativamente differente, fuori asse rispetto all’altro, e proprio la fusione di queste due immagini ci fornisce la percezione della terza dimensione, della profondità e della prospettiva.

1.b. Cenni di fisiologia della visione

il paragrafo sintetizza parte della tesi di laurea in ingegneria dell'informazione "Geometria della visione, problematiche di ripresa e visualizzazione di sequenze stereoscopiche", svolta da Giuseppe Colace presso il Centro Ricerche Rai. Relatore ing. Gianfranco Barbieri, co-relatore ing. Mario Muratori.

I nostri occhi sonò composti da un bulbo e da alcuni annessi come i muscoli estrinseci, che servono per effettuare la rotazione del bulbo stesso all’interno della sua sede, le ghiandole, le vie lacrimali e le palpebre, che servono per la lubrificazione della sclera.
Il bulbo, di forma grossolanamente sferica, è costituito da tre pareti chiamate tonache che, procedendo dall’esterno verso l’interno, sono la sclera, la coroide e la retina; quest’ultima ospita i recettori della luce.
L’immagine è focalizzata e impressa sulla retina dal sistema di “lenti” composto dai mezzi diottrici -dall’esterno verso l’interno: la cornea, l’umor acqueo, il cristallino ed il corpo vitreo (di questi solo il cristallino ha la possibilità di deformarsi, su sollecitazione dei muscoli intrinseci, per ottenere l’esatta focalizzazione dell’immagine sulla retina). L’iride è un diaframma che possiede nella sua parte centrale la pupilla elemento dell’organo con calibro variabile. In questo modo l’iride regola, in seguito ad un riflesso detto fotomotore, l’intensità di luce che raggiunge la retina entro limiti ottimali (un po’ come nell’occlusore di una macchina fotografica. I fotorecettori della retina, che si differenziano in coni e bastoncelli, raccolgono lo stimolo luminoso e lo trasformano in eccitazione nervosa tramite reazioni biochimiche. Questo stimolo viene poi convogliato, tramite il nervo ottico, ai centri corticali, deputati alla visione, presenti nel cervello.
Sezione dell'occhio

Nonostante l’uomo possieda due occhi, non vede doppio grazie al processo di fusione (sensoriale). Tale processo permette il riconoscimento degli oggetti osservati ed è quindi fondamentale per l’apprendimento e, conseguentemente, per la conoscenza. L’immagine di ogni punto visibile costituente un oggetto osservato, chiamato punto oggetto, viene proiettata sulla retina in una coppia di punti, uno per ciascun occhio, chiamati punti retinici. Quando si fissa su un oggetto, gli assi ottici oculari convergono, intersecandosi in un particolare punto chiamato di fissazione. La sua immagine proiettata sulle retine, in particolare sulle fovee, si forma su una coppia di punti retinici, uno per ciascun occhio, dai quali originano stimoli nervosi che il sistema della visione “fonde” in un singolo punto. Per questo motivo tali punti retinici sono chiamati corrispondenti; non sono simmetrici da un punto di vista anatomico, ma risultano funzionalmente accoppiati a causa del fenomeno della fusione sensoriale. Per ogni punto di fissazione esiste una curva, chiamata oroptero (dal greco oros, limite e opter, osservatore), composta da tutti i punti dello spazio reale per i quali si verifica la fusione. Ciò si ottiene poiché le loro immagini proiettate sulle retine si formano su coppie di punti retinici corrispondenti, uno per ciascuna retina. In altre parole, tutti i punti dello spazio reale giacenti sull’oroptero vengono percepiti come punti singoli.
Siccome per riconoscere gli oggetti osservati è necessario che questi siano percepiti come unici, la corteccia celebrale continuamente governa la direzione di osservazione tramite i movimenti degli occhi, affinché le immagini cadano su punti retinici corrispondenti.
La fusione non avviene solamente per i punti giacenti sull’oroptero, ma anche per quelli che si trovano in una ristretta zona, chiamata area di Panum, che si estende sia davanti che dietro di esso, e che ha una forma simile a quella illustrata in figura.
I centri preposti alla visione, analizzando le disparità retiniche tra le sue immagini sulle retine, e quelle relative al punto di fissazione.
I punti oggetto che si trovano al di fuori dell’area di Panum vengono visti come doppi, fenomeno chiamato diplopia. Le immagini di tali punti oggetto si formano su punti retinici che, non essendo accoppiati, si chiamano disparati e non portano alla fusione. Per renderci conto di questo fenomeno possiamo effettuare un semplice esperimento illustrato in figura: mettiamo davanti ai nostri occhi ad una distanza di circa 20 cm. l’indice della mano sinistra. Se a questo punto noi lo fissiamo lo vedremo singolo; se frapponiamo tra il nostro volto e il dito l’indice della mano destra noi vedremo quest’ultimo come doppio (diplopia crociata) ed identica sensazione avremo se lo posizioneremo tra l’indice della mano sinistra e l’infinito (diplopia omonima). Cambiando punto di fissazione la diplopia si verifica per altri oggetti, quindi, ponendo l’attenzione all’indice della mano destra (senza spostarla), vedremo doppio il dito della mano sinistra. Se un oggetto percepito come doppio è posto tra gli occhi e l’oroptero parleremo di disparità crociata mentre se è posto tra l’oroptero e l’infinito parleremo di disparità omonima. Abitualmente non ci accorgiamo della diplopia cosiddetta fisiologica poiché la nostra attenzione è focalizzata sull’oggetto che stiamo osservando e quindi il nostro cervello trascura le immagini doppie.
Esperimento per riprodurre l’effetto della “diplopia”

1.c. La stereopsi

La stereopsi è la visione tridimensionale che origina dalla stimolazione simultanea di punti retinici orizzontalmente disparati da parte di punti oggetto situati nell’ambito delle aree di Panum. L’acutezza stereoscopica è la disparità minima oltre la quale non si produce alcun effetto stereoscopico. Valori pari a circa 15-30 secondi d’arco, ossia 0.004°-0.008°, sono ritenuti eccellenti. Si noti che l’angolo di acutezza stereoscopica è circa 15 volte minore del minimo angolo di convergenza oculare sensibile. Questo sembrebbe implicare che la percezione della profondità è maggiormente dovuta alla stereopsi rispetto ad altri fenomeni, in particolare rispetto alla convergenza oculare.
La percezione della profondità, non dipende quindi, solamente dalla visione binoculare, ma è frutto di un insieme di elaborazioni mentali e di fenomeni percettivi e fisiologici la cui conoscenza permette di ricreare artificialmente la sensazione di distanza, oppure,in casi particolari, creare situazioni e ambienti paradossali.
Le arti visive, in particolare la pittura con la prospettiva, la fotografia e la cinematografia, hanno spesso sfruttato tali processi, a volte anche effettuando artificiose elaborazioni sul materiale visivo, per ottenere la sensazione di distanza desiderata.
In particolare, vi sono molti elementi monoculari, cioè osservabili ed efficaci anche con un occhio solo, che concorrono al giudizio della distanza relativa tra gli oggetti osservati; alcuni di essi sono:
- Il movimento parallattico: la velocità di spostamento di un oggetto vicino sembra maggiore di quella di uno lontano.
- La prospettiva lineare: un oggetto di grandezza costante sottende angoli progressivamente minori (quindi è visto più piccolo), man mano che si allontana. L’esempio più classico è la convergenza apparente di due rette parallele che si allontanano dall’osservatore. - La sovrapposizione dei contorni: un oggetto che interrompa i contorni di un altro viene percepito come anteposto all’altro.
- La distribuzione delle luci e delle ombre: il chiaro-scuro genera una impressione di rilievo e quindi di profondità.
- La familiarità con oggetti noti: la distanza tra oggetti noti viene giudicata anche in base alla loro grandezza apparente.
- La prospettiva aerea: la foschia atmosferica influenza il contrasto e il colore degli oggetti situati più lontano. Inoltre ne sfuma i contorni. Il fenomeno viene spesso utilizzato in fotografia mettendo a fuoco il soggetto principale e sfocando ad arte gli altri piani, in particolare lo sfondo.

Gli elementi binoculari, cioè quelli che vengono percepiti con ambedue gli occhi, aggiungono precisione e qualità alla percezione della distanza. Il principale elemento binoculare è la convergenza degli assi ottici oculari, permessa dalla muscolatura estrinseca. Inoltre, la convergenza su punti distanti più di 30 metri dall’osservatore (angolo di convergenza pari a circa 4’, ossia 0.062°) è ottenuta con spostamenti angolari del globo oculare troppo piccoli per essere sentiti e misurati. Di maggiore interesse per la stereoscopia è la stereopsi, ossia la visione tridimensionale che origina dall’analisi delle piccole differenze tra le immagini recepite dai due occhi. Nella realtà, infatti, un oggetto occupa un volume non nullo e quindi viene percepito come un insieme di punti oggetto che proiettano la propria immagine su altrettante coppie di punti retinici. I punti oggetto situati nei suoi pressi cadono o sull’oroptero o nell’area di Panum e vengono quindi fusi in punti singoli. Tuttavia generano disparità retiniche la cui analisi e misura da parte del sistema percettivo conferiscono all’oggetto impressione di solidità e di profondità. La stereopsi risulta perciò dalla lieve disparità con cui sono visti gli oggetti purchè siano compresi nell’area di Panum, ossia purché siano precepiti senza diplopia.

2. Storia della stereoscopia


Coppia di disegni di Jacopo
Chimenti da Empoli

Sir Charles
Wheatstone (1802-1875
in un ritratto del 1837.

L'idea di stereoscopia è molto antica. Gia Euclide nel 200 a.c. (circa) comprese i principi della visione tridimensionale: ciascuno dei nostri occhi percepisce un'immagine leggermente differente dall'altro ed è la combinazione delle due immagini a fornirci la percezione della terza dimensione. Leggenda vuole che Euclide si accorse della differenza di percezione tra i due occhi osservando il proprio dito indice alternando l’occlusione dei due occhi (leggenda verosimile, in quanto chiunque nell’infanzia scopre questa differenza con questo piccolo gioco).
Nel 1584 Leonardo da Vinci studiò la percezione della profondità (anche se il suo scopo era maggiormente legato a teorizzare i principi del disegno prospettico). Giovanni Battista della Porta (1538-1615) produsse il primo disegno artificiale tridimensionale e Jacopo Chimenti da Empoli (1554-1640) realizzò disegni affiancati che chiaramente dimostrano la comprensione della visione binoculare.
Il termine stereoscopia è però relativamente recente. Bisogna aspettare il XVII secolo per trovare nei testi letterari il termine, nel 1613 il gesuita Francois d’Aguillion (1567-1617) coniò infatti in un suo trattato il neologismo “stéréoscopique”.
Come accennato l’intuizione della stereoscopia ha origini antiche. Lo stesso però non accade per la sua teorizzazione.
È il 1883 quando Il Professor Sir Charles Wheatstone dimostra che, ponendo due disegni leggermente diversi l'uno accanto all'altro e osservandoli attraverso un sistema di specchi e prismi è possibile produrre artificialmente l'effetto della visione tridimensionale e nel giugno 1838, illustrando la visione binoculare alla Royal Scottish Society of Arts, propose di denominare l'apparato "stereoscopio”, al fine di indicare le sua capacità di rappresentare figure solide" (la parola è composta dai due termini greci stereos, solido, e scopos, che guarda).
Nel 1844, Sir David Brewster (che nel 1816 aveva brevettato il caleidoscopio, dal greco kalos, bello, eidos, forma, e scopos, che guarda) apportò miglioramenti allo stereoscopio.
Fu l'interesse della Regina Vittoria, dimostrato a partire dalla Great Exibition of London del 1851, che rese molto popolare la stereoscopia: nel 1856, secondo Brewster, erano stati venduti già mezzo milione dei suoi stereoscopi, malgrado il costo fosse molto elevato.
L’americano Oliver Wendell Holmes, realizzò una versione meno cara dell'apparato, in alluminio, consentendo la diffusione di grandi quantità di immagini stereo, montate su cartoncino.
La moda di raccogliere immagini stereo continuò fino alla prima guerra mondiale, che infatti fu documentata da diversi gruppi di fotografi dotati di apparati fotografici stereo.

1856, J.B Dancer: primo apparecchio fotografico
dotato di due obbiettivi

Un certo numero di società si specializzò nella produzione di immagini stereo e di visualizzatori, la più nota di queste fu l'americana View-Master, fondata alla fine degli anni '30 .
Oggi il fascino per la visione stereoscopica è un po’ svanito, probabilmente perché le tecniche dello stereoscopio non si sono ben adattate alla visione cinematografica, e la produzione di film e programmi televisivi non si è amalgamata con questi sistemi di visualizzazione.
Va detto però che anche oggi le immagini stereoscopiche mantengono nel collettivo un particolare fascino, lo dimostrano non solo i vari “cinema 3d” presenti un po’ in tutto il mondo, ma anche il fatto che dopo il famoso crollo delle twin towers circolavano in rete le immagini stereoscopiche dell’evento per “vedere dal vivo” il catastrofico evento.
Il famoso crollo delle torri gemelle sotto forma di anaglifo

2.a. Curiosità



“Les anaglyphes geometriques” librairie Vuibert, Parigi , 1912. Una delle pubblicazioni tra le più vecchie a proporre degli anaglifi
accanto alla copertina una pagina restaurata del libro (pagina 25). Tutte le immagini presenti nel libro sono elaborazioni grafiche. Interessante è che assieme al libro venivano venduti degli occhiali 3d per la visione.


Coca-Cola Verigraph Lorgnette sono occhiali 3d realizzati nel maggio 1914 venivano offerti per la visualizzazione di una mostra intitolata “Living Pictures” tenutasi all’Harlem opera house di New York. Il successo di questo evento è dimostrato dal fatto che successivamente a questo “happening”, uscirono diverse mostre in diverse parti della città che riprendevano questa tematica; tutte sponsorizzate dal marchio Coca-Cola.

Ziegfild follies è uno spettacolo teatrale tenutosi al New Amsterdam Theatre nel’ottobre del 1923.
All’inizio dello spettacolo si facevano circolare queste card e alla fine si regalavano gli occhiali per la visualizzazione tridimensionale delle stesse, puntando, secondo i maligni, non sulla qualità dello spettacolo ma sulla curiosità degli spettatori, che rimanevano fino alla fine per vedere l’effetto promesso.
Interessante, a parte le malignità, è che per la prima volta si sostituisce al filtro verde il filtro blu (ciano) che garantisce un effetto migliore e una resa cromatica più realistica.

3.a. Anaglifia



Un anaglifo (dal greco anáglyphos, composta da aná, sopra, e gliphein, incidere,cesellare) è un’immagine ottenuta sovrapponendo i due fotogrammi di uno stereogramma colorati con due differenti colori, ad esempio il rosso per l’immagine destra e il verde per l’immagine sinistra.
In questo modo osservando l’immagine tramite lenti di colori analoghi (rosso per l’occhio destro e verde per l’occhio sinistro), si ottiene che l’occhio destro veda la sola immagine destra e l’occhio sinistro la sola immagine sinistra.
Nel tempo sono state utilizzate diverse coppie di colori. La coppia rosso-verde funziona abbastanza bene con le immagini stampate, anche se l'immagine percepita attraverso gli occhiali tende ad apparire gialla. In campo cinematografico, i primi esperimenti furono fatti con la coppia giallo-blu, ma in questo caso, oltre ad una variazione del colore, risulta difficile avere immagini prive di effetto ghost (fantasma). La coppia rosso-ciano combina tutti e tre i primari: l'immagine destinata all'occhio sinistro viene filtrata in modo da contenere solo i contributi verde e blu (cioè ciano), mentre quella destinata all'occhio destro viene filtrata per contenere i soli contributi relativi al rosso. La combinazione dell'immagine destra e sinistra viene visualizzata sullo schermo e le lenti colorate degli occhiali operano come filtri, consentendo a ciascun occhio di percepire solo l'immagine ad essa destinata e impedendo la percezione dell'immagine destinata all'altro occhio. La coppia rosso-ciano consente di avere una discreta rappresentazione del colore e una visione neutra delle immagini bianco-nero.

3.b. Effetto Pulfrich


Prende nome dal fisico tedesco Carl Pulfrich che illustra il fenomeno in un articolo del 1922. E' un'illusione ottica che si manifesta solo se la luce che raggiunge un occhio è attenuata rispetto all'altro. Una stimolazione contemporanea dei punti retinici corrispondenti origina una eccitazione,
ma dopo un lieve ritardo, periodo di latenza, che è inversamente proporzionale all'intensità dello stimolo. Variando la differenza di intensità luminosa, ponendo ad esempio una lente scura di fronte ad uno degli occhi, si ottiene una differente latenza nella percezione dello stimolo, dando origine all'illusione stereoscopica. Un oggetto che si muove su un piano parallelo alla fronte dell'osservatore sembra quindi allontarsi dal piano (l’efficacia dell’effetto è direttamente proporzionale alla velocità della scena). Ad esempio, se un pendolo viene fatto oscillare, in condizioni normali si muove avanti e indietro su un piano, ma se davanti ad uno degli occhi viene posta una lente scura, il pendolo improvvisamente sembra descrivere un'orbita ellittica parallela al pavimento. L'effetto Pulfrich è stato applicato per la produzione di programmi televisivi, tra cui clip pubblicitarie. Ad esempio la Rai diffuse una serie di cartoni animati prodotta in Giappone nel 1978 (“Remì-le sue avventure” Un programma a cartoni animati 3D tratto dal Romanzo “Senza Famiglia” di Ettore Malot - Animazioni di Akio Sugino - Regia di Yutaka Fujioka). La storia, in 51 puntate da 30 minuti ciascuna, è appropriata, poiché il viaggio del protagonista e dei suoi compagni è ricco di movimenti. In genere, comunque, solo circa un terzo di ciascun episodio mostra l'effetto tridimensionale, poiché non tutte le scene possono basarsi su movimenti con velocità e direzione adatte ad ottenere l'effetto. Infatti, l'uso di questa tecnica è limitata dal fatto che il soggetto o la telecamera, o entrambi, devono muoversi: non vi è percezione stereoscopica nel caso di immagini stazionarie. Tra i vantaggi di questa tecnica: la possibilità di essere distribuibile con i canali televisivi convenzionali, visualizzabile su tutti i tipi di schermo e la compatibilità per gli utenti non interessati alla stereovisione o privi di occhiali, utenti che possono comunque seguire il programma in modalità bidimensionale.

4.a. Come realizzare fotografie in 3d

Per realizzare fotografie in tre dimensioni è necessario ricavare due immagini dello stesso oggetto, riprese però secondo una direzione differente. L'angolo che separa queste due riprese può essere simile a quello formato dagli occhi, o anche maggiore (iperstereoscopia) per oggetti dotati di scarsa plasticità. A livello professionale, per ottenere fotografie in 3D si impiegano speciali macchine dotate di due obiettivi. In mancanza di apparecchi di questo tipo, concepiti apposta per stereofotografia, si può utilizzare anche una macchina fotografica normale. Bisogna effettuare due riprese successive, spostando un poco la macchina fotografica tra una ripresa e l'altra.

Anche i disegni possono essere visti in 3D. Per fare questo occorre realizzare 2 viste prospettiche o assonometriche secondo due direzioni differenti. Questa operazione risulta semplificata quando si disegna con il computer (CAD) dal momento che è possibile realizzare le due immagini semplicemente ruotando l'oggetto disegnato.

stereoscopio semplice

Vi sono persone che non riescono a percepire le immagini stereoscopiche.
Per queste l’apparecchio che offre maggiori possibiltà di successo è lo stereoscopio semplice.
Si tratta di uno strumento molto semplice, nel quale il divisorio centrale e le lenti di ingrandimento poste nei fori atti all’osservazione, agevolano la sovrapposizione delle due parti in un'unica immagine.
Essendo lo strumento che garantisce maggiori risultati, è stato preso in considerazione per la realizzazione dello stereoscopio progettato, infatti, abbiamo utilizzato le misure standardizzate di questo strumento adattandole e riproporzionandole alle dimensioni delle immagini da noi utilizzate.

Stereoscopio a specchi

Con lo stereoscopio a specchi, le immagini non possono essere più larghe della distanza interpupillare (circa 6 cm), altrimenti gli occhi sarebbero costretti a divergere. I nostri occhi possono facilmente convergere (osservazione di oggetti vicini), o al più restare paralleli (osservazione di oggetti lontani), mentre incontrano grosse difficoltà a divergere. Quindi, per potere osservare immagini stereoscopiche di grandi dimensioni, occorre un apparecchio diverso,
Questo visore è composto da quattro specchi. Esso potrebbe funzionare anche con i soli 2 specchi centrali, purchè si sia disposti ad accettare che l’immagine stereoscopica appaia speculare rispetto ai due stereogrammi, sinistro e destro, di partenza.
L’effetto è molto interessante, anche se il gioco di specchi tende ad ottenebrare la resa virtuale dell’immagine. Solitamente questio tipo di stereoscopio è chiuso all’interno di una scatola per evitare giochi di luce riflessa, in questo modo sicuramente si migliora la qualità dell’immagine virtuale ma si perde la concezione del reale meccanismo che la produce.

5. ricerca progettuale


“Il meccanismo della visione in rilievo è innato e funziona anche in persone che l’hanno esercitato poco o nulla come gli strabici. Di converso esistono anche persone normali, non strabiche, che non hanno la visione tridimensionale degli oggetti. Semplicemente non dispongono di questa facoltà che per gli altri è così normale da essere tanto facilmente dimenticata”.
(Maldonado, reale e virtuale)

5.a. riedizione dello stereoscopio semplice




lo strumento stereoscopico canonico prevede un diaframma che separa fisicamente le due immagini, in modo tale che entrambi gli occhi percepiscano una singola immagine divisa rispetto all’altra. In questo modo la sovrapposizione delle due immagini e la successiva rielaborazione, avviene, in un punto più lontano dell’immagine stessa.


Attraverso questa rivisitazione dello stereoscopio semplice la rielaborazione dell’immaginie tridimensionale si forma in un punto a metà strada tra le immagini reali e l’occhio. Quindi lo stereoscopio così rivisitato è uno strumento artificiale che riproduce la stereopsi (fusione delle diverse immagini percepite in sincrono dai nostri occhi) responsabile della percezione della profondità e della distanza relativa tra gli oggetti.

5.b. Schede tecniche

il disegno sopra può forse descrivere meglio, a livello intutitivo, l’effetto che il nostro stereoscopio vuole creare. Per un analisi più accurata bisogna analizzare meglio la schematizzazione seguente.


Utilizzando la similitudine dei triangoli OsFOd, e FsFFd, tenendo conto che la lunghezza dei segmenti deve essere sempre positiva, si ottiene:

che, risolta evidenziando la distanza zobs tra punto e osservatore, dà la seguente espressione

che, risolta evidenziando la distanza zobs tra punto e osservatore, dà la seguente espressione


dove:
z obs = distanza tra osservatore e punto di fissazione percepito F, coincidente con la coordinata Z del punto stesso
z s = distanza tra osservatore e le immagini posizionate sul piano S
xs , xd = ascisse punti proiettati Fs,d
b = distanza tra i centri di rotazione degli assi ottici; non differisce sostanzialmente dalla distanza interpupillare. La distanza percepita zobs del punto apparente dall’osservatore è proporzionale alla distanza zs tra osservatore e immagini, è all’incirca inversamente proporzionale alla distanza tra i punti proiettati xs–xd e dipende in modo più complesso dalla distanza interpupillare b.

Quest’ultima dipende dall’osservatore. In un maschio adulto varia da 5.77 cm a 6.96 cm, con una media di 6.32 cm e una variazione percentuale pari a circa il 20%.
I bambini presentano ovviamente valori inferiori. La distanza tra punti proiettati, xs–xd, è generata ad arte per generare l’effetto di profondità̀ desiderato. E’ l’unico parametro in linea di principio controllabile da chi produce le immagini. Il valore della distanza xs– xd non deve superare quello della distanza interpupillare altrimenti gli occhi sarebbero forzati a divergere in modo innaturale. In formule, si deve rispettare la diseguaglianza seguente: x d – xs ≤ b
Nel nostro stereoscopio i punti proiettati risultano coincidenti, l’oggetto apparente viene quindi percepito esattamente in prossimità del foro. Il modello ci conferma l’esperienza; infatti, ponendo
xs–xd = 0
si ottiene:
zobs=zs
La distanza zs tra osservatore ed immagini reali può essere controllata solo in parte, per questo lo stereoscopio non entra in contatto con il volto dell’utente che ne usufruisce, egli deve infatti essere in grado di avvicinarsi o allontanarsi dallo strumento per ottenere una visione ottimale.

il paragrafo sintetizza, rielabora e adatta alla nostra ricerca, parte della tesi di laurea in ingegneria dell'informazione "Geometria della visione, problematiche di ripresa e visualizzazione di sequenze stereoscopiche", svolta da Giuseppe Colace presso il Centro Ricerche Rai. Relatore ing. Gianfranco Barbieri, co-relatore ing. Mario Muratori.

5.c. Possibili applicazioni

come detto sopra questa rivisitazione dello stereoscopio ripropone a livello fisico, i meccanismi che rendono possibile la visione, in particolare rappresenta la nostra capacità di percepire la realtà attraverso la sovrapposizione della visione dei singoli occhi.
Ecco perché nel valutare le possibili applicazioni di questo strumento abbiamo pensato all’utilizzo per scopi didattici.
Lo strumento è facilmente realizzabile e montabile, ergo la sua costruzione può diventare un momento ludico atto ad apprendere istintivamente e intuitivamente il nostro sistema percettivo cliccando sul link sotto è possibile scaricare il file in formato pdf per la realizzazione dello stereoscopio

clicca qui per scaricare file
Bibliografia
Giuseppe Colace
"Geometria della visione, problematiche di ripresa e visualizzazione di sequenze stereoscopiche", tesi di laurea
Gabriele Chiesa
"Stereofotografi italiani,(www.gri.it/storia/stereoita.)
Mauro Ceconello
“rappresentazione virtuale: interfacce e tecniche d’interazione”
Rivista trimestrale Disegno e Design Digitale, Dipartimento “INDACO-Politecnico di Milano”, luglio 2003
T.Canziani, S.Spasse
“Visione stereoscopica” , saggio, Trieste 2002 (www.univ.trieste.it/~brain/visione/ Stereopsi/Stereopsi1.html)
Tomàs Maldonado
“reale e virtuale” Feltrinelli editore, aprile 2005
Massimo Pasqualin
“Stereofotografie e cartografie a Venezia tra XIX e XX secolo”, saggio, Febbraio 2004
Giovan Battista della Porta
“della magia naturale”(libro XVII, 1589), scritti di ottica, il profilo editore, 1968
Linkografia
www.archiviostereoscopicoitaliano.it/home.htm
www.stereoscopy.com/reel3d/
www.gri.it
www.siu.edu/~pulfrich
www.info.curtin.edu.au
www.funsci.com
www.insonniateam.it/ita/stereoscopia
www.d3.com/oldstuff